I più grandi oratori Romani - versione latino Cicerone

I più grandi oratori Romani
versione latino Cicerone

Quis enim putet aut celeritatem ingeni L. Bruto illi nobilitatis vestrae principi defuisse?...

Chi può infatti pensare che a quel Lucio Bruto, che fu capostipite del vostro nobile casato, facesse difetto la prontezza d'ingegno, oppure Lui che seppe interpretare con tanto acume e finezza il senso dell'ora colo di Apollo sul bacio da dare alla madre;

che seppe mascherare un senno eccellente sotto una simulazione di stolidità; che cacciò un re potentissimo e dispotico, figlio di un re illustrissimo, e pose la città, liberata da un'ininterrotta tirannia, sotto l'autorità dei magistrati annuali, delle leggi e dei giudizi; che depose dal potere il proprio collega, per cancellare dalla città la memoria del nome regale: 'O' e questo certo non si sarebbe potuto ottenere, senza un'eloquenza persuasivamente efficace. Vediamo parimenti che pochi anni dopo la cacciata dei re, quando la plebe si accampò sulla riva dell'Anie ne, a tre miglia dalla città, e occupò quel monte che fu poi chiamato Sacro, il dittatore Marco Valerio placò con la sua parola le discordie civili: per questo motivo gli vennero tributati i più grandi onori, e sempre per la stessa ragione fu il primo a essere chiamato "Massimo". E ritengo che con l'eloquenza riuscisse a ottenere risultati di una discreta efficacia anche Lucio Valerio Potito, che dopo l'odiosa tirannia dei decemviri seppe mitigare, con leggi e allocuzioni, la collera della plebe nei confronti dei senatori.

Possiamo supporre facondo Appio Claudio, " giacché seppe distogliere il senato, quando già vi era incline, dall'idea di far pace con Pirro; lo stesso possiamo supporre di Fabrizio, poiché venne inviato come ambasciatore a Pirro per trattare il riscatto dei prigionieri; altrettanto di Tiberio Coruncanio, " Poiché dai registri dei pontefici appare esser stato di grandissimo ingegno; di Manio Curio, " giacché nella sua veste di tribuno della plebe, quando l'interré Appio Cie co, uomo facondo, teneva i comjzi contro la legge -non voìeva infatti accettare un console plebeo -, costrinse i senatori a ratificare l'elezione prima che avesse luogo: in un'epoca in cui non era ancora stata approvata la legge Menia, questo fu veramente un grandissimo successo.

Si può fare qualche supposizione anche sul talento di Marco Popìlio, quando era console, e, nella sua qualità di flamine carmentale, faceva un pubblico sacrificio con indosso il mantello sacerdotale, gli venne portata la notizia di un violento tumulto della plebe contro i senatori; arrivò all'assemblea vestito com'era del mantello, e sedò il tumulto con la sua parola, oltre che con la propria autorità. Ma non mi pare di avere letto niente sul fatto che costoro fossero considerati dei veri oratori, o che l'eloquenza conferisse particolari privilegi; sono indotto a supporlo solo per congettura

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