La morte non è un male - Versione Latino di Cicerone

La morte non è un male Cicerone versione latino
tradotta libro velim n. 278 pagina 314

Non assentior iis qui haec nuper disserere coeperunt, cum corporibus simul animos interire atque omnia morte deleri; plus apud me...

Tradotta dal libro latino a colori
Inizio: Natura efficit ut initium nobis rerum omnium ortus noster et exitus mors adferat. In quo autome quid ...

Non sono d'accordo con chi, da qualche tempo, si è messo a sostenere che l'anima muore insieme al corpo e tutto viene distrutto dalla morte.

Per me vale di più l'autorità degli antichi: quella dei nostri antenati, che non avrebbero sicuramente tributato ai morti diritti così sacri se avessero pensato che i morti ne fossero indifferenti; oppure l'autorità di coloro che abitarono il nostro paese e diedero istituzioni e norme di vita alla Magna Grecia, che oggi è certamente distrutta, ma allora era fiorente; o l'autorità di colui che, giudicato «il più saggio» dall'oracolo di Apollo, non disse sull'argomento ora questo ora quello, come fanno i più, ma sempre la stessa cosa: l'anima dell'uomo è divina e, quando si stacca dal corpo, ha schiuso di fronte il ritorno al cielo, ritorno tanto più veloce quanto più si è buoni e giusti.

Ed era anche l'idea di Scipione. Egli, appunto, come se avesse un presentimento, pochissimi giorni prima di morire, in presenza di Filo, di Manilio, di molti altri e anche di te, Scevola, che mi avevi accompagnato, discusse per tre giorni sullo stato. Dedicò la parte finale del discorso essenzialmente al problema dell'immortalità dell'anima, raccontando quanto diceva di aver udito dall'Africano, apparsogli in sogno. Se è vero che, dopo morti, l'anima dei migliori vola via più facilmente come dalla prigione e dalle catene del corpo, chi, secondo noi, avrà avuto un cammino verso gli dèi più facile che Scipione?

Ecco perché piangerne la sorte si addice piuttosto all'invidioso, temo, non all'amico. Se invece è più fondata la teoria secondo cui la morte è la stessa per l'anima e per il corpo e non sopravvive nessuna forma di sensibilità, allora come nella morte non c'è alcun bene, così certamente non c'è alcun male. Quando si perde la sensibilità, infatti, è come se non si fosse mai nati.

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La natura ha disposto in modo che la nostra nascita costituisca per noi l'inizio di tutto, e la nostra morte la fine di ogni cosa. Che cosa vi può essere in ciò di male poiché la morte non riguarda né i vivi né i morti?

Questi ultimi non esistono più, e i primi la morte non li tocca. Uno spartano del quale non si riporta neppure il nome disprezzava a tal segno la morte che, mentre veniva condotto al supplizio per ordine degli efori mostrandosi lieto e ridente in volto, alla domanda di un suo nemico: "Per caso ti fai beffe delle leggi di Licurgo?" rispose: "Al contrario, sono davvero grato a chi mi ha condannato a questa pena, che potrei annullare senza mutarla". Sono convinto che un uomo di questa tempra sia stato condannato innocente.

E vi fu anche una donna spartana la quale, avendo inviato in guerra il figlio e avuto notizia che era caduto in combattimento, replicò: "Per questa ragione l'avevo messo al mondo, perché vi fosse chi affronta la morte per amor di patria". Con eguale coraggio gli Spartani affrontarono la morte alla Termopili; uno di loro, alle vanterie di un nemico persiano che gli aveva detto: "Non scorgerete più il sole per la nube di frecce e giavellotti che lanceremo" rispose: "Allora combatteremo all'ombra". Ma anche la nostra città offrì innumerevoli esempi di coraggio.

Più di una volta le legioni romane Spartirono di buon animo per luoghi dai quali sapevano in cuor loro che non sarebbero tornate.

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