Preoccupazione per la situazione della Gallia - Versione latino Cicerone

Preoccupazione per la situazione della Gallia
Autore: Cicerone

Scr. Romae Id. Mart. a. 694 (60). CICERO ATTICO SAL. non modo si mihi tantum esset oti quantum est tibi, verum etiam si tam brevis...

TRADUZIONE
Scritta a Roma il 15 marzo del 60.
Cicerone ad Attico

non solamente se io disponessi di tanto tempo libero quanto ne hai tu, ma anche se volessi inviare lettere brevi, adeguandomi alla tua conueta misura, facilmente ti batterei comunque e ti scriverei molto più frequentemente di come fai tu. Ma alle mie occupazioni, che esigono un impegno totale cui si stenta a credere, si aggiunge che desidero non farti arrivare nessuna lettera da parte mia, la quale non racchiuda un qualche dato di fatto ed un certo nucleo di idee. Nella mia esposizione darò la precedenza, come è giusto fare quando ci si rivolge ad un cittadino che ama la sua patria, al quadro politico; successivamente, siccome subito dopo la patria sono io a godere della tua predilezione, ti metterò al corrente anche dei miei casi personali, fornendoti le notizie che penso non ti dispiaccia ricevere. Dunque in campo politico attualmente i più gravi motivi di apprensione nascono dalla paventata querra con i Galli. I fatti sono questi: gli Edui, nostri fratelli, sono appena usciti da uno scontro armato, finito male per loro, e gli Elvezi senza mezzi termini sono sul piede di guerra e fanno scorrerie nella Provincia. Il Senato ha decretato che i consoli sorteggino scambievolmente le due Gallie, che siano tenute leve militari, che non si riconosca validità a nessuna esenzione del servizio, che siano inviati ambasciatori plenipotenziari, i quali prendano contatto con le varie popolazioni della Gallia e svolgano la missione direttiva a scongiurare una coalizione di questi popoli con gli Elvezi. Gli ambasciatori sono Quinto Metello Cretico, Lucio Flacco e Lentulo, figlio di Clodiano; vorrei dire, siamo al classico "olio profumato sopra le lenticchie". Al riguardo non posso passare sotto silenzio che al sorteggio era uscito, fra i consolari, per primo il mio nome, ma il Senato, in cui non si registravano assenti, prese all'unanimità la decisione che la mia presenza a Roma era indispensabile. Dopo di me questo stesso fatto capitò a Pompeo, tanto che parve evidente che noi due eravamo trattenuti nell'Urbe, in quanto considerati garanti della stabilità dello Stato. Sì, davvero, perché dovrei aspettare ansiosamente che altri scriva di me elogi vibranti, quando io stesso, standomene qui fra le pareti di casa mia, sono capace di farli scaturire dalla mia penna?.
Passando alla politica interna, posso dirti che si articola come ora ti spiegherò. Il tribuno della plebe Flavio caldeggia vivamente l'approvazione di una legge agraria e Pompeo se ne è fatto paladino. Essa non ha nessun titolo a conquistare il favore del popolo, se si eccettua colui che spinge avanti le cose in tal senso. Il mio punto di vista, che ho espresso riscuotendo consensi nell'assemblea popolare, è di togliere dal relativo progetto tutto ciò che si risolve a svantaggio dei privati; di rendere libera quella parte di territorio, che sotto il consolato di Publio Mucio e di Lucio Calpurnio era proprietà dello Stato; di confermare nei loro possessi i coloni di Silla; di consentire che continuino a godere delle loro terre gli abitanti di Volterra e di Arezzo, il cui territorio era stato confiscato da Silla, però non diviso. Uno solo tra gli articoli di questa legge io non mi sento di respingere, quello che autorizza l'acquisto di terre, utilizzando il supplemento di imposta che deriverà, nello spazio di cinque anni, dal gettito tributario negli Stati di recente conquista. Il Senato avversa l'impostazione generale di questa legge agraria, perché nutre il sospetto che vi si celi il tentativo di Pompeo di allargare in qualche modo l'ambito del suo potere personale. Una cosa è certa: Pompeo si è dato anima e corpo all'idea di far arrivare in porto la legge. Io, dal canto mio, so riuscire molto gradito ai fautori della ripartizione dei terreni, ma sostengo lo stesso che tutti i privati hanno diritto a conservare i loro possedimenti; parlando in termini concreti, questa è la componente sociale da cui trae forza il nostro partito, il ceto dei possidenti, come tu appunto sai. D'altronde faccio delle concessioni alle masse popolari ed a Pompeo (perché desidero anche questo), acconsentendo alla compera di terra. Penso che, se questa sarà regolata con scrupolo, non solo possa essere vuotata quella che è la sentina dell'Urbe, ma si riesca anche nell'intento di popolare zone deserte dell'Italia. Purtroppo, però, il dibattito sull'intero problema è stato interrotto dalle voci di guerra e l'interesse per esso si è raffreddato.

Metello è un console che sa il fatto suo ed è legato a me da viva simpatia; l'altro console è una nullità in senso assoluto, al punto che non sa affatto cosa significhi ciò che ha comperato.
I fatti di rilievo in politica interna sono questi che ti ho detto, a meno che tu non pensi che vi si debbano includere anche i tentativi che già più volte un certo Erennio, tribuno della plebe, appartenente alla tua stessa tribù, uomo senz'altro perfido e stretto nella morsa del bisogno, ha compiuto per far passare Publio Clodio tra i plebei. I veti a lui opposti si susseguono a ripetizione. Quello che ti dovevo dire sulla situazione interna, a mio giudizio, è tutto qui.
Poi, passando a parlare di me, una volta che raggiunsi in quel fatidico 5 dicembre una gloria che definirei straordinaria e immortale, alla quale, però si ricollegarono l'avversione e l'astio di molte persone che presero ad odiarmi, non ho smesso un istante di interessarmi, con l'identico senso di magnanimità, della sorte della Repubblica e di salvaguardare la posizione di primo piano, che in quelle circostanze avevo responsabilmente assunto. Tuttavia da quando - e si è trattato del primo passo -, attraverso l'assoluzione di Clodio, ho avuto modo di gettare a fondo lo sguardo sullo stato di leggerezza e precarietà in cui versa l'amministrazione della giustizia, indi ho potuto constatare che i pubblicani legati al nostro partito si staccavano con disinvoltura della linea d'azione del Senato, nonostante che evitassero la rottura diretta con me, e che poi - c'è dell'altro - i ricconi, s'intende che mi riferisco ai tuoi amici che mantengono per snobismo vivai di pesci, facevano capire a chiare note di essermi ostili, da allora ho ritenuto indispensabile procurarmi potenza in certo modo maggiore e sostegni più validi per la mia posizione politica. Perciò innanzi tutto ho fatto in modo che Pompeo, il quale troppo a lungo aveva tenuto il silenzio sulle gesta di cui era stato protagonista, addivenisse all'idea di attribuirmi in Senato non una sola volta, ma spesso e con molte parole il merito di aver salvato lo Stato romano ed il mondo intero. Questo riconoscimento fu importante non tanto per il mio tornaconto personale (in realtà quelle vicende né sono tanto oscure da aver bisogno di una testimonianza, né così discutibili da richiedere il sostegno di una lode), quanto per gli interessi generali. Non mancavano, infatti, certi individui maligni, disposti a credere che un qualche motivo di contesa sarebbe sorto fra me e Pompeo per il diverso angolo visuale da cui consideravamo quei fatti. Ebbene, io ho stretto legami tanto confidenziali con lui, che ciascuno di noi due, per effetto dii questa solidarietà di intenti, può sentirsi rafforzato nello svolgimento del proprio piano d'azione e avvertire maggiore robustezza nell'impalcatura dello Stato. [8] Poi quegli odii dei giovinastri viziosi ed effeminati, che si erano scatenati contro di me, ho saputo attenuarli, con un mio particolare modo di trattare affabilmente, a tal segno che quelli, dal primo all'ultimo, soltanto per me sentono rispetto. Per fartela preve, io, a questo punto, non uso maniere brusche con nessuno, né tuttavia mi lascio andare, per debolezza di temperamento, alla smani della popolarità, ma il criterio generale che adotto è frutto di tanto equilibrio, che allo Stato assicuro la coerenza piena dei miei atti, poi, in rapporto alla mia vita privata, mi induco a prendere scrupolosamente certe precauzioni, poiché le persone dabbene difettano di energia, coloro che mi vogliono male praticano l'ingiustizia come sistema, i delinquenti mi odiano. Bada bene tuttavia che ho contratto le nuove relazioni pubbliche con questa riserva, che di frequente lo scaltro siciliano, Epicarmo, mi sussuri all'orecchio quel suo celebre ritornello "Sii sobrio e ricordati di essere diffidente. Sulla base di questo contegno si articola la saggezza". A mio parere, puoi ravvisare così il disegno, in certo quale modo, dei criteri di massima cui intendo informare la mia vita.
Riguardo, poi, all'affare che ti interessa direttamente e del quale mi scrivi spesso, per il momento non sono in grado di provvedere adeguatamente.

Giacché quella ben nota deliberazione del Senato è stata presa per lo zelo sviscerato dei senatori di second'ordine, ma senza il beneplacito di nessuno di noi. E' vero che io figuro tra gli addetti alla redazione scritta delle decisioni maturate, come puoi vedere, ma il testo stesso del decreto senatorio vale a farti intendere che era diverso il tema iscritto all'ordine del giorno e che questo punto concernente le comunità libere è stato aggiunto senza un fondato ed evidente motivo. Se ne è fatto promotore Publio Servilio figli, che fu tra gli ultimi ad esprimere il suo parere; tuttavia in questo momento il decreto non può essere modificato. Perciò le riunioni, che all'inizio eranolargamente frequentate, già da un pezzo non si tengono più. Se poi tu, con le tue maniere blande, sei riuscito lo stesso a cavar fuori qualche soldarello degli abitanti di Sicione, fammelo sapere.
Ti mando la narrazione delle geste del mio consolato, composta in greco. Se in essa c'è qualcosa che alle orecchie raffinate di un "Attico", quale sei tu, suona di timbro poco greco ed armonioso, non starò a dire quello che ti disse, credo, a Palermo, Lucullo a proposito delle sue Storie, che cioè per far credere più facilmente che esse erano opera di un romano, a bella posta vi aveva disseminato certi barbarismi e solecismi di linguaggio; se nel mio testo c'è qualche guasto del genere, vorrà dire che mi è sfuggito per disavvedutezza, contrariamente a quanti avrei desiderato. Se porterò a termine la narrazione in latino, te la farò avere. Come terza della serie aspettati un'opera poetica, tanto perché non sia da me tralasciato nessun genere di esaltazione dei miei stessi meriti. A questo punto guardati dal dire: "Chi loderà suo padre?". Se realmente a questo mondo c'è altro che meriti maggiori lodi, mi sottopongo al biasimo per non aver concentrato le mie lodi su una materia diversa; però, a ben riflettere, ciò che io scrivo non ha per fine l'economio, bensì la ricerca storica.
Mio fratello Quinto in una lettera a me indirizzata si giustifica ed afferma che non una sola parola, con nessuno, gli è uscita di bocca contro te. Ma di questo ci dobbiamo occupare a quattr'occhi con estrema cura e scrupoloso impegno; tu pensa soltanto a tornare una buona volta per rivederci. Cossinio, al quale affido questa missiva, mi dà l'impressione di una persona molto onesta, dotata di serietà, affezionata a te e perfettamente corrispondente alla descrizione che me ne forniva la tua lettera. 15 marzo.

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