Sconforto di Cicerone, rientrato dall'esilio - Versione latino Cicerone

Brundisium veni Kalendis Maiis. Eodem die pueri tui mihi a te litteras reddiderunt, et alii pueri post tertium diem alias litteras mihi attulerunt....

Venni a Brindisi alle Calende di Maggio. In quello stesso giorno i tuoi figli mi diedero una tua lettera e altri fanciulli dopo tre giorni me ne portarono un'altra.

Poichè ti rallegri per il fatto che siamo tornati salvi in Italia, ciò mi è molto gradito e di grande sollievo. Il fatto che mi richiami alla vita, e certamente fai ciò con animo fraterno, ma non serve a nulla: infatti odio l'affollamento delle città e del foro, evito gli uomini, posso a malapena vedere la luce. Ora non voglio enumerare tutte le miserie, nelle quali mi abbatterei a causa della somma ingiuria di uomini malvagi.

Tuttavia sappi questo: sopratutto io sono tormentato e soffro per il fatto che inoltre spesso a causa degli invidiosi, che avevo reputato amici, mi ritrovo in grave disgrazia. Aggiungi nei più grandi dolori che mi tormentano sia la salute della nostra Tullia sia le preoccupazioni di Terenzia, amatissima moglie, che io ho sempre voluto felici.

Questo certamente affermo: nessuno mai sia affetto da tante disgrazie, che da nessuno deve essere più desiderata la morte. Nessuna dunque è la ragione per cui si desideri rimanere in una vita così miserabile ed anche infelice, se non perché non ho ancora perso la speranza di recuperare la salvezza, che mi perseguitava incalzante. Abbi cura di te.

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