Condanna a morte di Milziade (Versione latino Nepote)

Condanna a morte di Milziade
Autore: Cornelio Nepote

Cum iam in eo esset, ut oppido potiretur, procul in continenti lucus, qui ex insula conspiciebatur, nescio quo casu nocturno tempore incensus est. Cuius flamma ut ab oppidanis et oppugnatoribus est visa, utrisque venit in opinionem signum a classiariis regis datum.

Quo factum est, ut et Parii a deditione deterrerentur, et Miltiades, timens, ne classis regia adventaret, incensis operibus, quae statuerat, cum totidem navibus, atque erat profectus, Athenas magna cum offensione civium suorum rediret. Accusatus ergo est proditionis, quod, cum Parum expugnare posset, a rege corruptus infectis rebus discessisset. Eo tempore aeger erat vulneribus, quae in oppugnando oppido acceperat. Itaque, quoniam. ipse pro se dicere non posset, verba fecit frater eius Stesagoras. Causa cognita capitis absolutus pecunia multatus est, eaque lis quinquaginta talentis aestimata est, quantus in classem sumptus factus erat. Hanc pecuniam quod solvere in praesentia non poterat, in vincula publica coniectus est ibique diem obiit supremum.


Durante questa missione ne costrinse molte a tornare all'obbedienza, alcune le prese con la forza. Fra queste non riusciva convincere con i negoziati l'isola di Paro orgogliosa della sua potenza; allora fece sbarcare truppe dalle navi, cinse con opere d'assedio la città e la tagliò fuori da ogni approvvigionamento: poi piazzate vigne e testuggini si accostò alle mura. Quando stava per impadronirsi della città, lontano sul continente, un bosco che si vedeva dall'isola, non so per quale accidente, di notte prese fuoco. Quando le fiamme furono viste dagli assediati e dagli assalitori, ad entrambi venne il sospetto che si trattasse di un segnale mandato dai marinai del re. Ne conseguì che i Parii non vollero più saperne di arrendersi e Milziade temendo che si avvicinasse la flotta del re, incendiate le opere d'assedio che aveva predisposto, con le stesse navi con cui era partito tornò ad Atene, con grande disappunto dei suoi concittadini.

Fu quindi accusato di tradimento perché. pur potendo espugnare Paro, se ne era andato senza portare a termine l'impresa, in quanto corrotto dal re. In quel tempo era sofferente per le ferite che aveva riportato nell'assalto alla città; così, non essendo egli in grado di difendersi personalmente, parlò per lui il fratello Steságora. Fatto il processo, assolto dalla pena capitale, fu condannato a una multa che fu stabilita di cinquanta talenti, esattamente la somma impiegata per allestire la flotta. Siccome non era in grado di pagare sul momento questo denaro, fu gettato nelle carceri dello Stato e lì morì.

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