Epaminonda antepone l'interesse dello stato al rispetto formale delle leggi (Versione latino Nepote

Autore: Cornelio Nepote

Cum Peloponnesum Epaminondas exercitum duxit adversos Lacedaemonios, habuit collegas duos, quorum alter erat Pelopìdas, vir fortis ac strenuus.

Hi omnes cum criminibus adversariorum in invidiam venissent ob eamque rem imperium iis esset abrogatum atque in eorum locum alii praetores successissent, Epaminondas populi scito non paruit idemque ut facerent persuasit collegis et bellum, quod susceperat, gessit. Namque nisi id fecisset, totus exercitus propter praetorum imprudentiam inscitiamque belli perisset. Ex lege Thebanorum, si quis imperium diutius retinuerat quam lege praefinitum foret, morte multabatur. Hanc legem Epaminondas cum rei publicae conser­vandae causa latam videret, ad perniciem civitatis conferre noluit et quattuor mensibus diutius, quam populus iusserat, gessit imperium.

Quando Epaminonda condusse l’esercito nel Peloponneso contro gli Spartani, ebbe due soci, uno dei quali era Pelopida, uomo forte e valoroso. Poichè tutti questi erano venuti in invidia per le accuse degli avversari e pichè per per tale motivo era stato loro tolto il comando e poiché erano succeduti al loro posto altri comandanti, Epaminonda non obbedì al decreto del popolo, e convinse i suoi colleghi a fare la stessa cosa e terminò la guerra che aveva intrapreso. Anche se, in vero, non avesse fatto ciò, tutto l’esercito sarebbe morto per l’imprudenza dei comandanti e della loro inesperienza della guerra.

Secondo la legge dei Tebani, se qualcuno aveva tento il potere più a lungo di quanto la legge non avesse stabilito, era punito con la morte. Epaminonda, pur vedendo questa legge fatta per salvare lo stato, non volle contribuire alla rovina della cittadinanza e tenne il potere quattro mesi in più di quanto aveva ordinato il popolo.