Il tradimento di Focione (Versione latino Nepote)

Il tradimento di Focione
Autore: Cornelio Nepote
Nuovo tradurre dal latino rosso n. 353 pag. 227

Phocionis Atheniensis cum prope ad annum octogesimum prospera pervenisset fortuna, extremis temporibus magnum in odium pervenit suorum civium, primo quod cum Demade de urbe tradenda Antipatro consenserat eiusque consilio Demosthenes cum ceteris, qui bene de re publica meriti existimabantur, populi scito in exsilium erant expulsi. Neque in eo solum offenderat, quod patriae male consuluerat, sed etiam quod amicitiae fidem non praestiterat. Namque auctus adiutusque a Demosthene eum, quem tenebat, ascenderat gradum, cum adversus Charetem eum subornaret; ab eodem in iudiciis, cum capitis causam diceret, defensus aliquotiens, liberatus discesserat. Hunc non solum in periculis non defendit, sed etiam prodidit. Concidit autem maxime uno crimine, quod, cum apud eum summum esset imperium populi et Nicanorem, Cassandri praefectum, insidiari Piraeo Atheniensium a Dercylo moneretur idemque postularet, ut provideret, ne commeatibus civitas privaretur, huic audiente populo Phocion negavit esse periculum seque eius rei obsidem fore pollicitus est. Neque ita multo post Nicanor Piraeo est potitus, sine quo Athenae omnino esse non possunt.

Ad quem recuperandum cum populus armatus concurrisset, ille non modo neminem ad arma vocavit, sed ne armatis quidem praeesse voluit.
L'ateniese Focione arrivato con favorevole fortuna quasi ad ottanta anni, nell'estremo della vita incappo nell'odio implacabile dei suoi concittadini; dapprima, perché d'accordo con Dernade aveva consegnato la città ad Antipatro e su istigazione di quello erano stati cacciati in esilio con decreto popolare Demostene e quegli altri che si riteneva avessero ben meritato della patria. E aveva mancato non solo perché aveva male provveduto alla patria, ma anche perché non aveva tenuto fede all'amicizia. Infatti aveva raggiunto quel grado che occupava, grazie al deciso appoggio di Demostene, quando lo sosteneva segretamente contro Carite; dallo stesso era stato difeso più di una volta in processi che comportavano la pena capitale, ed era uscito libero. Egli non solo non difese costui nelle sue vicende giudiziarie, ma addirittura lo tradì.

Rovinò però soprattutto per una sola accusa: mentre aveva nelle sue mani il supremo potere dello stato, fu avvertito da Darci che Niconore, il prefetto di Cassandro, preparava un attacco al Pireo degli Ateniesi e lo stesso gli chiedeva che pigliasse provvedimenti, perché la città non rimanesse priva di vettovaglie; a costui Focione, in presenza del popolo, rispose che non c'era questo pericolo e di questo offrì se stesso come garante. Non molto tempo dopo, Nicònore si impadronì del Pireo, senza del quale Atene non può sopravvivere. Il popolo accorse allora in armi per riconquistarlo, ma lui non solo non chiamò alle armi nessuno, ma non volle neppure mettersi a capo degli armati.

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