Nessuna ragione può giustificare un fratricidio (Versione latino Nepote)

Autore: Cornelio Nepote

Cum frater eius Timophanes, dux a Corinthiis delectus, tyrannidem per milites mercennarios occupasset particepsque regni posset esse, tantum afuit a societate sceleris, ut antetulerit civium suorum libertatem fratris saluti et parere legibus quam imperare patriae satius duxerit.

Hac mente per haruspicem communemque affinem, cui soror ex eisdem parentibus nata nupta erat, fratrem tyrannum interficiundum curavit. Ipse non modo manus non attulit, sed ne aspicere quidem fraternum sanguinem voluit. Nam dam res conficeretur, procul in praesidio fuit, ne quis satelles posset succurrere. Hoc praeclarissimum eius factum non pari modo probatum est ab omnibus. Nonnulli enim laesam ab eo pietatem putabat et invidia laudem virtutis obterebant. Mater vero post id factum neque domum ad se filium admisit neque aspexit, quin eum fratricidam impiumque detestans compellaret. Quibus rebus ille adeo est commotus, ut nonnumquam vitae finem facere voluerit atque ex ingratorum hominum conspectu morte decedere.




Avendo suo fratello Timofane, posto dai Corinti a capo delle forze armate, con l'aiuto di soldati mercenari aveva instaurato la tirannide, ed egli avrebbe potuto dividere con lui il potere; invece, tanto aborrì la partecipazione a quella scelleratezza che antepose la libertà dei propri concittadini alla vita del fratello, giudicando miglior cosa obbedire alle leggi che comandare la patria. Guidato da questo sentimento, organizzò l'uccisione del fratello per mezzo di un certo aruspice e di un comune parente che aveva sposato una loro sorella nata dai medesimi genitori. Egli, però, non prese parte al fatto, anzi non volle nemmeno vedere il sangue del fratello, e mentre ebbe luogo l'uccisione si tenne lontano nella caserma delle guardie, per impedire che qualche gregario corresse in suo aiuto.

Questa sua azione tanto gloriosa non riscosse però il plauso di tutti: vi fu chi lo giudicò reo di leso vincolo familiare e per invidia denigrò il suo merito. La madre poi dopo quel fatto non ricevette mai in casa il figlio e non lo guardò più in faccia senza maledirlo e chiamarlo fratricida e sacrilego. E quell'avversione lo sconvolse così profondamente da fargli pensare più di una volta di porre fine ai suoi giorni per non avere più davanti agli occhi tanta gente ingrata.

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