La favola di Arione (Versione latino Gellio)

La favola di Arione versione latino Gellio

Vetus et nobilis Arion cantator fidibus fuit. Is Lesbius fuit. Eum Arionem rex Corinthi Periander amicum amatumque habuit artis gratia....

Arione fu un suonatore di cetra famoso nei tempi antichi (lett. : antico e famoso). Egli fu di Lesbo.

Il re di Corinto Periandro (lo) tenne in conto di amico carissimo per le sue doti artistiche (lett. : considerò amico e amato per l’arte). In seguito egli si allontana dal re per visitare le famose terre di Sicilia e d’Italia. Quando giunse là, deliziò le orecchie e lo spirito di tutti nelle città di entrambi i paesi. Egli in seguito poi carico di soldi e di ogni bene materiale (lett. : pieno di gran quantità di denaro e di molto bene materiale), decise di ritornare a Corinto; scelse dunque una nave e dei marinai corinzi in quanto più conosciuti e più amichevolmente disposti verso di lui. Ma Erodoto narra che quei Corinzi, accolto Arione (lett. : l’uomo) e spinta la nave in alto (mare), avidi di preda e di denaro, presero la decisione di uccidere Arione.

Allora egli, avendo in quel momento compreso la (sua) rovina, consegnò il denaro e tutti i suoi beni perché (se li) tenessero (e li) pregò di risparmiargli solo la vita. I marinai si astennero dall’ammazzarlo brutalmente (lett. : con la violenza) con le loro mani, ma (gli) ordinarono di buttarsi in mare a capofitto, lì per lì subito davanti (a loro). L’uomo allora, terrorizzato, perduta ogni speranza di sopravvivenza, (li) pregò ancora di un’unica cosa, che, prima di affrontare la morte, gli permettessero di indossare tutti i suoi vestiti, di prendere la cetra e di cantare un canto, conforto di quella sua sventura.

Ottiene ciò che aveva chiesto. E lì in breve, cinto, ammantato, ornato secondo il (suo) costume, cantò con voce altissima un canto che si chiama “orzio”. Alla fine del canto si gettò giù nel (mare) profondo, con la cetra e tutti gli ornamenti (lett. : tutto l’ornamento) così come stava e (come) cantava.

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