Cicerone riflette sulla decadenza della res publica

Fuit quondam ita firma haec civitas et valens ut neglegentiam senatus vel etiam iniurias civium ferre posset....

Una volta questa città fu così solida e valente da poter sopportare la negligenza del senato o anche le ingiurie dei cittadini.

Ora non può. Non c'è alcun erario, non usufruiamo dei dazi che riscattarono, l'autorità dei più ragguardevoli è caduta, l'accordo degli ordini è decaduto, i giudizi periscono, le votazioni sono tenute da pochi, l'animo degli onesti non sarà più regolato in base ad un cenno del nostro ordine, d'ora in poi cercherete inutilmente un cittadino che si esponga all'invidia per la salvezza dello stato.

Per tale motivazione non possiamo tenere saldamente questo stato che ora c'è, qualunque esso sia con nessun'altra cosa eccetto che con la concordia.

Dato che, però, ci troviamo in uno stato peggiore, c'è solo un grado inferiore o della distruzione o della schiavitù: gli dèi immortali ci ammoniscono a non incalzare, dato che già da tempo gli umani consigli vengono meno.

Versione tratta da Cicerone

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