Condanna dell'avidità dei ricchi
Nabuthae historia tempore vetus est, usu cotidiana. Quis enim divitum non cotidie concupiscit... etsi filios non tenet, tamen exules non dolet, non ingemit graviora funeribus tenerae prolis ieiunia.
La storia di Naboth è vetusta per età, usuale per il costume. Infatti chi, ogni giorno tra i ricchi non desidera i beni altrui più di quanto custodisce i suoi? Chi tra i ricchi non va a mandar via dal suo campicello il povero e a bandire il misero dai confini del podere ereditato?
Di quale ricco non infiamma l'animo un possedimento vicino? Dunque non è nato un solo Achab, ma, ciò che è peggio, ogni giorno nasce un Achab e a questo mondo mai muore. Se uno muore, ne nascono molti, più quelli che rubano che quelli che perdono.
Non un solo povero Naboth è stato ucciso; Naboth è oppresso ogni giorno, ogni giorno un povero viene ucciso. Il genere umano, turbato da questa paura, va via dalle sue terre, il povero emigra con i figli piccoli, carico del suo pegno d'amore, la moglie lo segue piangendo, come se seguisse il marito al sepolcoro. Tuttavia meno si dispera quella che piange i funerali dei suoi cari, poichè sebbene abbia perso l'aiuto del marito, ne possiede la tomba e se non ha più figli, tuttavia non li soffre esuli (non si affligge perchè i figli sono esuli)
non geme per per il digiuno della tenera prole, (dolore) più insopportabile delle (loro) morti. (da Sant'Ambrogio)
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