Epaminonda difende sé stesso e i colleghi

Lex erat Thebis, quae morte multabat, si quis imperium

A Tebe c’era una legge, che multava di morte, se qualcuno avesse tenuto il potere più a lungo della legge prestabilita.

Epaminonda, vedendo che tale legge era stata promulgata per salvaguardare lo stato, non volle contribuire alla rovina della città, ed esercitò il potere quattro mesi in più con i suoi colleghi rispetto a quanto il popolo aveva ordinato. Dopo che ritornarono in patria, erano accusati di questo crimine.

Ma quello giunse in giudizio, non negò alcuna cosa, confessò e non rifiutò di subire la pena della legge, ma chiese soltanto questo agli avversari, di iscrivere sul suo sepolcro: “Epaminonda è stato multato di morte dai tebani, perché li ha costretti a superare presso Leucra gli Spartani, i quali, egli stesso come comandante, nessuno dei Beoti osò guardare sul campo. Fu multato perché in una sola battaglia non solo strappò Tebe dalla rovina, ma vendicò anche tutta quanta la Grecia in libertà”. Avendo detto tali parole, sorse il riso generale con ilarità, e nessun giudice osò condannare Epaminonda. Così si allontanò con somma gloria dal giudizio capitale. 
(by Maria D.)

Versione tratta da Cornelio Nepote

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