Gli Ateniesi richiamano Cimone dall'esilio

Cum unus in civitate maxime floreret, Cimon, Miltiadis filius, incidit in eandem invidiam.. multos locupletavit, complures pauperes mortuos suo sumptu extulit. Vita eius fuit secura et mors acerba.

TESTO LATINO COMPLETO

Cimone, figlio di Milziade, poiché egli solo massimamente eccelleva nella città s'imbatté nella stessa invidia che aveva colpito suo padre e gli altri importanti ateniesi:

infatti, con le votazioni dei cocci (= con l'ostracismo), fu condannato con un esilio di dieci anni. Dopo che egli con animo coraggioso aveva ceduto alla gelosia degli ingrati cittadini e gli Ateniesi avevano dichiarato guerra a Sparta, immediatamente (ne) seguì un desiderio della sua famosa virtù. Quindi fu richiamato in patria cinque anni dopo che ne era stato scacciato.

Egli, che era ospite degli Spartani, stimando utile dirigersi a Sparta, partì spontaneamente e favorì la pace tra le due potentissime città. Non molto dopo, fu inviato a Cipro alla testa di 200 navi e, vinta la maggior parte di quell'isola, dopo essersi ammalato morì nella città di Cizio. Gli Ateniesi lo rimpiansero sia in pace che in guerra. Infatti fu talmente generoso, che, avendo poderi e orti in moltissimi luoghi, mai vi mise un custode a sentinella della frutta.

Spesso, vedendo uno colpito dalla cattiva sorte vestito in modo indecente, gli donò il suo mantello. A nessuno mancò la sua lealtà, il suo aiuto, il suo patrimonio di famiglia; arricchì molti, seppellì a sue spese moltissimi morti poveri. La sua vita fu serena, la (sua) morte compianta. (da Cornelio Nepote)

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