Una prigioniera coraggiosa e forte - versione latino Lviio

Inizio: Supererat bellum integrum cum Tectosagis. ... Fine: violatae per vim pudicitiae confessa viro est

Restava da affrontare integralmente la guerra con i Tettosagi. Partito il console verso di loro, nello spazio di tre giorni pervenne ad Ancira, città illustre in quella regione, dalla quale i nemici erano distanti poco più di dieci miglia.

E lì dove, era stato posizionato (dai Romani) un accampamento, un atto di coraggio degno di memoria venne compiuto da una prigioniera. Tra gli altri prigionieri era custodita la moglie di Orgiagonte, uno dei capi dei nemici, di notevole bellezza; era stato posto a sorvegliarla un centurione, dissoluto ed avido quanto suole esserlo un soldato. Di conseguenza costui, per mitigare l'indegnità dell'affronto, prospetta alla donna la speranza di un ritorno dai suoi, ma neppure quella gratuitamente.

Pattuita una certa quantità di libbre d'oro, permette alla donna di scegliere uno tra i prigionieri che voleva come messaggero ai suoi per accoglierla il giorno successivo. Per caso, tra i prigionieri sorvegliati dal medesimo centurione c'era un servo della stessa donna. Il centurione con l'approssimarsi delle tenebre fa uscire al di fuori dell'accampamento tale messaggero. La notte seguente sia due congiunti della donna che il centurione con la prigioniera giungono nel luogo convenuto. Qui avendo mostrato l'oro che ammontava alla somma di un talento attico (poiché tanto era il pattuito), la donna disse loro nella sua lingua che impugnassero la spada ed uccidessero il centurione, che contava l’oro.

Ed ella stessa, portandone avvolto nella veste il capo mozzato, andò dal al marito Orgiagonte, gettò ai suoi piedi la testa del centurione, e chiedendosi questi di chi essa fosse quella testa, la stessa confessò al marito sia l’ingiuria sofferta nel corpo, sia la vendetta, che trasse dalla sua castità forzatamente violata.