Tito Quinzio Capitolino appiana le discordie tra patrizi e plebei (I)

Iam non ultra discordia civium reprimi poterat, et a tribunis, id quod nihil decet rei publicae magistratus, plebs ita incitabatur in patres, ut nova semper certamina contiones turbarent....

Ormai la discordia tra i cittadini non poteva esser repressa né da un lato né dall'altro, e dai tribuni, cosa che non si addiceva per nulla ai magistrati dello stato, la plebe veniva incitata verso i senatori così, nuovi scontri turbavano sempre le adunanze.

Il primo clamore di questi non scansò i volsci e gli equi: infatti, come se fosse stato ricevuto un segnale, presero le armi, ed uniti gli eserciti saccheggiarono prima di tutto il campo latino; poi dopo che lì non accorreva alcun vendicatore, allora in verità esultando i fautori della guerra, si accostarono come saccheggiatori alle stesse mura di Roma, mostrando la devastazione dei campi per offesa alla città.

Da ciò dopo che gl'invendicati, agitando il bottino dinanzi a loro, retrocedettero con l'esercito in marcia, il Console Quinzio, che provava rincrescimento per le fazioni, convocò il popolo all'adunanza.

Le sue parole si addicevano veramente ad un console romano: infatti raramente vi fu un discorso di un tribuno popolare più gradito alla plebe di quello, esposto da un console severissimo.
(By Maria D.)

Versione tratta da Livio

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