Agesilao vanifica un tentativo di diserzione (Versione latino Livio)

Agesilao vanifica un tentativo di diserzione
Autore: Livio

Masinissae haec audienti non rubor solum suffusus sed lacrimae etiam obortae; et cum se quidem in potestate futurum imperatoris dixisset, orassetque eum ut, quantum res sineret, fidei suae temere obstrictae consuleret - promisisse enim se in nullius potestatem eam traditurum - ex praetorio in tabernaculum suum confusus concessit. ibi arbitris remotis cum crebro suspiritu et gemitu, quod facile ab circumstantibus tabernaculum exaudiri posset, aliquantum temporis consumpsisset, ingenti ad postremum edito gemitu, fidum e servis vocat, sub cuius custodia regio more ad incerta fortunae venenum erat, et mixtum in poculo ferre ad Sophonibam iubet, ac simul nuntiare Masinissam libenter primam ei fidem praestaturum fuisse, quam vir uxori debuerit; quoniam eius arbitrium qui possint adimant, secundam fidem praestare, ne viua in potestatem Romanorum veniat. Memor patris imperatoris patriaeque et duorum regum, quibus nupta fuisset, sibi ipsa consuleret. Hunc nuntium ac simul venenum ferens minister cum ad Sophonibam venisset 'accipiò inquit 'nuptiale munus, neque ingratum, si nihil maius vir uxori praestare potuit. hoc tamen nuntia, melius me morituram fuisse si non in funere meo nupsissem. ' non locuta est ferocius quam acceptum poculum nullo trepidationis signo dato impavide hausit.


Masinissa ascoltando non solo ebbe ad arrossire violentemente ma anche gli spuntarono le lacrime. Garantì che egli si sarebbe sempre attenuto al volere del comandante e lo pregò che, per quanto consentiva la situazione, lo lasciasse provvedere alla parola data in maniera troppo avventata - si era infatti impegnato a non consegnare Sofonisba in potere di alcuno -, uscendo poi dal pretorio e f!cendo ritorno, costernato, alla sua tenda. Lì, allontanati i testimoni, passò qualche tempo a sospirare e a gemere, tanto che tutti quelli che stavano vicino alla sua tenda potevano facilmente udirlo. Dopo un ultimo, forte lamento chiamò un servo fidato (quello che aveva in custodia, secondo una prassi regia, il veleno da assumersi nei rivolgimenti della sorte); versò il veleno in una coppa, ordinando di recarla a Sofonisba; il servo doveva anche dire che Masinissa avrebbe davvero voluto assolvere con lei al primo degli impegni che un uomo ha con la sua donna; e tuttavia era quella una decisione che gli veniva sottratta da chi aveva più potere di lui e quindi doveva assolvere almeno al secondo impegno, quello di non fari a cadere viva in potere dei Romani.

Che provvedesse a se stessa, memore del ruolo di condottiero di suo padre, della patria, dei due re ai quali era stata sposata. Il servo, recando questo messaggio assieme al veleno, raggiunse Sofonisba la quale disse: «Accetto questo dono di nozze, che non mi è sgradito, se niente di meglio un marito ha potuto offrire a sua moglie. Tuttavia riferiscigli questo: migliore sarebbe stata la mia morte, se il giorno delle mie nozze non fosse stato anche il giorno del mio funerale». Con la stessa fermezza con cui aveva parlato, afferrò il bicchiere e, senza far trasparire né trepidazione né paura, lo bevve fino in fondo.

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