Discorso di T. Quinzio Capitolino (Versione Livio)

Discorso di T. Quinzio Capitolino
Autore: Livio

Discordia ordinum et venenum urbis huius, patrum ac plebis certamina, dum nec nobis imperii nec vobis libertatis est modus, dum taedet vos patriciorum, nos plebeiorum magistratuum, sustulere illis animos.

Pro deum fidem, quid vobis voltis? Tribunos plebis concupistis; concordiae causa concessimus. Decemviros desiderastis; creari passi sumus. Decemvirorum vos pertaesum est; coegimus abire magistratu. Manente in eosdem privatos ira vestra, mori atque exulare nobilissimos viros honoratissimosque passi sumus. Tribunos plebis creare iterum voluistis; creastis. Consules facere vestrarum partium; etsi patribus videbamus iniquos, patricium quoque magistratum plebi donum fieri vidimus. Auxilium tribunicium, provocationem ad populum, scita plebis iniuncta patribus, sub titulo aequandarum legum nostra iura oppressa tulimus et ferimus. Qui finis erit discordiarum? Ecquando unam urbem habere, ecquando communem hanc esse patriam licebit? Victi nos aequiore animo quiescimus quam vos victores. Satisne est nobis vos metuendos esse? Adversus nos Aventinum capitur, adversus nos Sacer occupatur mons; Esquilias vidimus ab hoste prope captas et scandentem in aggerem Volscum. Hostem nemo submovit: in nos viri, in nos armati estis.
No, sono la discordia delle classi e gli eterni contrasti - vero veleno di questa città - tra patrizi e plebei, che hanno risollevato il loro animo, perché noi non moderiamo il nostro potere e voi la vostra libertà, voi siete insofferenti nei confronti dei patrizi e noi nei confronti delle magistrature plebee.

Ma in nome degli dèi, cosa volete? Morivate dalla voglia di avere dei tribuni della plebe, in nome della concordia sociale ve li abbiamo concessi. Desideravate i decemviri: ne abbiamo autorizzato l'elezione. Vi siete stancati dei decemviri, li abbiamo costretti ad abbandonare la carica. Continuavate a odiarli anche quando erano ormai tornati dei privati cittadini, abbiamo tollerato che uomini molto nobili e onorati venissero condannati a morte e all'esilio. Poi vi è di nuovo venuta la voglia di eleggere dei tribuni, li avete eletti, e di nominare consoli dei membri della vostra parte e noi, pur sembrandoci ingiusto nei confronti dell'aristocrazia, siamo arrivati al punto di vedere quella grande magistratura patrizia offerta in dono alla plebe. L'intromissione dei tribuni, l'appello di fronte al popolo, i decreti approvati dalla plebe e imposti al patriziato, i nostri diritti calpestati in nome dell'eguaglianza delle leggi, tutto abbiamo sopportato e sopportiamo.

In che modo potranno mai avere fine i contrasti? Verrà mai il giorno in cui sarà possibile avere una sola città unita e considerarla la patria comune? Noi, che ne usciamo sconfitti, accettiamo la situazione con animo più sereno di quanto non facciate voi, che pure siete i vincitori. Non vi basta che noi dobbiamo temervi? Contro di noi è stato preso l'Aventino, contro di noi è stato occupato il monte Sacro. Abbiamo visto l'Esquilino quasi preso dal nemico e i Volsci apprestarsi a scalare le mura di Roma: nessuno ha avuto il coraggio di andarli a ricacciare indietro. Solo contro di noi voi siete dei veri uomini, solo contro di noi impugnate le armi.

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