La fine di Cicerone (versione di latino)

La fine di Cicerone
Autore: Livio
Parole latine n. 351 pag. 437

M. Cicero sub adventum triumvirorum urbe cesserat pro certo habens, id quod erat, non magis se Antonio eripi quam Caesari Cassium et Brutum...

Marco Cicerone all'arrivo dei tribuni si era allontanato dalla città, sapendo per certo, cosa che (in effetti) era (vera), che non si poteva sottrarre ad Antonio più di quanto Cassio e Bruto si potessero (sottrarre) a Cesare (= Ottaviano).

In un primo tempo era fuggito nella villa di Tusculo; di là, per vie traverse, parte per la villa di Formia, con l’intenzione di imbarcarsi da Gaeta. E dopo che, preso il largo di là parecchie volte, ora i venti contrari lo avevano riportato indietro, ora non poteva egli stesso sopportare il rollìo della nave in balia del mare agitato, lo prese infine il tedio della fuga e della vita, e ritornato alla villa precedente, che dista dal mare poco più di mille passi (= un miglio), disse:

"Morirò nella patria spesso salvata (da me)". È noto che i suoi servi erano pronti a combattere coraggiosamente e fedelmente; (ma) egli ordinò di deporre la lettiga e di sopportare tranquilli ciò a cui l’iniqua sorte lo costringeva.

A lui che si sporgeva dalla lettiga e che offriva il collo immobile fu tagliata la testa. Né (questo) fu abbastanza per la stolta crudeltà dei soldati; gli tagliarono anche le mani, rimproverando(le) di aver scritto qualcosa contro Antonio. Così il capo (fu) portato ad Antonio e per suo ordine (fu) posto sui rostri fra le due mani.

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