Una trama ordita dalle matrone ai danni dello stato (Versione latino Livio)

Una trama ordita dalle matrone ai danni dello stato
Autore: Livio

Cum primores civitatis similibus morbis et eodem ferme omnes eventu morerentur, ancilla quaedam ad Fabium Maximum, aedilem curulem, se indicaturam esse causam publicae pestis professa est, si ab eo fides sibi data esset haud futurum esse noxiae indicium.

Fabius confestim rem ad consules, consules ad senatum referunt consensuque omnium fides indici data est. Tum patefactum est muliebri fraude civitatem premi matronasque venena coquere et, si sequi extemplo velint, manifesto deprehendi posse. Secuti indicem, matronas quasdam coquentes medicamenta invenerunt. Quibus in forum delatis, duae ex iis, Cornelia et Sergia, cum ea medicamenta salubria esse contenderent, ab indice bibere iussae, epoto medicamento, suamet ipsa fraude interierunt. Comprehensae extemplo earum comites magnum numerum matronarum indicaverunt, ex quibus ad centum septuaginta damnatae sunt. Prodigii ea res abita;

captisque magis mente quam consceleratis similes visae sunt.
Poiché i maggiorenti della città morivano di malattie simili e quasi tutti della medesima morte, un’ancella rivelò a Fabio Massimo, edile curule, che ella avrebbe indicato la causa dell’epidemia, se egli le avesse garantito che la denuncia non le sarebbe stata ascritta come colpa. Immediatamente Fabio riferisce la cosa ai consoli, i consoli al senato e, col consenso di tutti, venne dato credito alla delazione. Allora venne svelato che la cittadinanza era vittima di un inganno femminile e che le matrone preparavano veleni e che se avessero voluto seguirla subito potevano essere colte in flagrante.

Seguita la delatrice, trovarono alcune matrone che preparavano pozioni; condottele nel foro, poiché due di queste, Cornelia e Sergia, assicuravano che quelle pozioni erano curative, essendo stato loro ordinato dalla delatrice di berle, una volta assunta la pozione esse stesse morirono per il loro inganno. Arrestate subito le loro compagne denunciarono un gran numero di matrone fra le quali ne furono condannate fino a 170. Questo fatto venne ritenuto un sortilegio; esse sembrarono più simili a delle pazze che a delle congiurate.

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cum primores ciuitatis similibus morbis eodemque ferme omnes euentu morerentur, ancilla quaedam ad Q. Fabium Maximum aedilem curulem indicaturam se causam publicae pestis professa est, si ab eo fides sibi data esset haud futurum noxae indicium.

Fabius confestim rem ad consules, consules ad senatum referunt consensusque ordinis fides indici data. tum patefactum muliebri fraude ciuitatem premi matronasque ea uenena coquere et, si sequi extemplo uelint, manifesto deprehendi posse. secuti indicem et coquentes quasdam medicamenta et recondita alia inuenerunt; quibus in forum delatis et ad uiginti matronis, apud quas deprehensa erant, per uiatorem accitis duae ex eis, Cornelia ac Sergia, patriciae utraque gentis, cum ea medicamenta salubria esse contenderent, ab confutante indice bibere iussae ut se falsum commentam arguerent, spatio ad conloquendum sumpto, cum submoto populo [in conspectu omnium] rem ad ceteras rettulissent, haud abnuentibus et illis bibere, epoto [in conspectu omnium] medicamento suamet ipsae fraude omnes interierunt. comprehensae extemplo earum comites magnum numerum matronarum indicauerunt; ex quibus ad centum septuaginta damnatae; neque de ueneficiis ante eam diem Romae quaesitum est. Prodigii ea res loco habita captisque magis mentibus quam consceleratis similis uisa; itaque memoria ex annalibus repetita in secessionibus quondam plebis clauum ab dictatore fixum alienatas[que] discordia mentes hominum eo piaculo compotes sui fecisse, dictatorem claui figendi causa creari placuit. creatus Cn. Quinctilius magistrum equitum L. Valerium dixit, qui fixo clauo magistratu se abdicauerunt.


Mentre i personaggi più in vista della città contraevano la medesima malattia e morivano quasi tutti nella stessa maniera, un'ancella si presentò all'edile curule Quinto Fabio Massimo dicendo che gli avrebbe rivelato la causa del contagio che affliggeva i cittadini se egli le avesse garantito che quella denuncia non le avrebbe arrecato danno. Fabio riferì immediatamente la cosa ai consoli i quali la riportarono al senato, e alla donna venne data la garanzia richiesta, con l'approvazione generale dei senatori. Allora l'ancella rivelò che la città era in preda all'epidemia per colpa di criminose pratiche femminili, e che i veleni erano opera di alcune matrone: se l'avessero seguita, sùbito, le avrebbero potute cogliere in flagrante. I senatori seguirono la delatrice e trovarono delle donne impegnate a cuocere filtri, e altre pozioni nascoste. Portato il materiale nel foro e convocate una ventina di matrone nelle cui case le pozioni erano state rinvenute, due di esse, Cornelia e Sergia - entrambe di nobile famiglia - sostennero che si trattava di farmaci salutari. Ma poiché la delatrice confutava le loro affermazioni, vennero costrette a bere i preparati in modo da dimostrare al cospetto di tutti che le accuse dell'ancella erano false. Presero tempo per consultarsi e, in disparte, riferirono la cosa alle altre donne; poiché anche queste non erano contrarie a ingerire le pozioni, bevvero tutte d'un fiato, al cospetto del popolo, e morirono per le loro stesse pratiche delittuose.

Le loro ancelle, immediatamente arrestate, fecero i nomi di un gran numero di matrone, centosettanta delle quali vennero giudicate colpevoli. Prima di quel giorno non si erano mai tenuti a Roma processi per avvelenamento. La cosa fu ritenuta un prodigio e venne considerata il prodotto di menti folli più che criminali. E così, siccome negli annali veniva riportato che in passato, in occasione di secessioni della plebe, il dittatore aveva piantato un chiodo e che le menti degli uomini uscite di senno per la discordia erano tornate in sé grazie a quel rito di espiazione, si decise di nominare un dittatore per piantare il chiodo. La scelta cadde su Gneo Quintilio, il quale nominò maestro di cavalleria Lucio Valerio. Dopo aver piantato il chiodo, i due magistrati rinunciarono alla carica.

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