La grandezza di Archimede - versione greco Plutarco

LA GRANDEZZA DI ARCHIMEDE
VERSIONE DI GRECO di Plutarco

Τηλικοῦτον μέντοι φρόνημα καὶ βάθος ψυχῆς καὶ τοσοῦτον ἐκέκτητο θεωρημάτων πλοῦτον Ἀρχιμήδης, ὥστ' ἐφ' οἷς ὄνομα καὶ δόξαν οὐκ ἀνθρωπίνης,...

TRADUZIONE

Archimede possedette tuttavia uno spirito così elevato, un'anima così profonda e un patrimonio così grande di cognizioni scientifiche, che non volle lasciare per iscritto nulla su quelle cose, cui pure doveva un nome e la fama di una facoltà comprensiva non umana, ma pressoché divina.

Persuaso che l'attività di uno che costruisce delle macchine, come di qualsiasi altra arte che si rivolge a un'utilità immediata, è ignobile e grossolana, rivolse le sue cure più ambiziose soltanto a studi la cui bellezza ed astrazione non sono contaminate da esigenze di ordine materiale. E i suoi studi non ammettono confronti con nessun altro. In essi è una gara continua tra la materia e le dimostrazioni: la prima fornisce soggetti grandi e nobili, e le seconde risultano di una precisione e di una forza straordinarie. n tutta la geometria non è dato incontrare argomenti più difficili e profondi di quelli affrontati da Archimede, espressi in termini più semplici e puri. Alcuni studiosi attribuiscono questo portento alle dote congenite dell'uomo; altri ritengono che il fatto che ogni suo principio sembri raggiunto senza alcuna fatica e difficoltà, è dovuto alla straordinaria elaborazione con cui lo ricavò.

Per quanto uno cerchi, non potrebbe arrivare mai da solo alle dimostrazioni che egli dà; eppure, appena le ha apprese da lui, ha la sensazione che sarebbe riuscito egli pure a trovarle, tanto è liscia e rapida la strada per cui conduce a ciò che vuole dimostrare. Non c'è dunque ragione di non credere a quanto si dice di Archimede, e cioè che viveva continuamente incantato da questa, che potremmo chiamare una Sirena a lui familiare e domestica, al punto da scordarsi persino di mangiare e di curare il proprio corpo.

Spesso, quando i servitori lo trascinavano a viva forza nel bagno per lavarlo e ungerlo, egli disegnava sulla cenere della stufa alcune figure geometriche; e appena lo avevano spalmato d'olio, tracciava sulle proprie membra delle linee col dito, tanto lo dominava il diletto ed era prigioniero, veramente, delle Muse. Molte e mirabili furono le scoperte che egli fece; ma sulla tomba pregò, si dice, gli amici e i parenti di mettergli, dopo morto, un cilindro con dentro una sfera, e quale iscrizione la proporzione dell'eccedenza del solido contenente rispetto al contenuto

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