Il furto delle pere (Versione latino Agostino)

Il furto delle pere
Autore: Sant'agostino

Furtum certe punit lex tua, Domine, et lex scripta in cordibus hominum, quam ne ipsa quidem delet iniquitas.

quis enim, fur, aequo animo furem patitur?(...)Et ego furtum facere vilui et feci nulla conpulsus egestate nisi penuria et fastidio iustitiae et sagina iniquitatis. Nam id furatus sum quod mihi abundabat et multo melius, nec ae re volebam frui, quam furto appetebam, sed ipso furto et peccato. Arbor erat pirus in vicinia nostrae vineae pomis onusta nec forma nec sapore inlecebrosis. Ad hanc excutiendam atque asportandam, nequissimi adulescentuli perreximus nocte intempesta, (...) et abstulimus inde onera ingentia non ad nostra epulas, sed vel proicienda porcis, etiamsi aliquid inde comedimus, dum tamen fieret a nobis quod eo liberet, quo non liceret. Ecce cor meum, Deus, ecce cor meum, quod miseratus es in imo abyssi. Dicat tibi nunc ecce cor meum, quid ibi quaerebat, ut essem gratis malus et malitiae meae causa nulla esset nisi malitia.

foeda erat, et amavi eam; amavi perire, amavi defectum meum, non illud, ad quod deficiebam, sed defectum meum ipsum amavi, turpis anima et dissiliens a firmamento tuo in exterminium, non dedecore aliquid, sed dedecus appetens.
La tua legge, Signore, condanna chiaramente il furto, e così la legge scritta nei cuori degli uomini, che nemmeno la loro malvagità può cancellare. Quale ladro tollera di essere derubato da un ladro? […] Ciò nonostante io volli commettere un furto e lo commisi senza esservi spinto da indigenza alcuna, se non forse dalla penuria e disgusto della giustizia e dalla sovrabbondanza dell’iniquità. Mi appropriai infatti di cose che già possedevo in maggior misura e molto miglior qualità; né mi spingeva il desiderio di godere ciò che col furto mi sarei procurato, bensì quello del furto e del peccato in se stessi.

Nelle vicinanze della nostra vigna sorgeva una pianta di pere carica di frutti d’aspetto e sapore per nulla allettanti. In piena notte […] ce ne andammo, giovinetti depravatissimi quali eravamo, a scuotere la pianta, di cui poi asportammo i frutti. Venimmo via con un carico ingente e non già per mangiarne noi stessi, ma per gettarli addirittura ai porci. Se alcuno ne gustammo, fu soltanto per il gusto dell’ingiusto. Così è fatto il mio cuore, o Dio, così è fatto il mio cuore, di cui hai avuto misericordia mentre era nel fondo dell’abisso.

Ecco, che il mio cuore ti dica che cosa andavo a cercare lì, cosicché io ero cattivo nelle grazie e la causa delle mie cattiverie non era altro se non la cattiveria.

(Questa) era brutta, ma io l'amai; amai morire, amai il mio peccate, non amai ciò per cui venivo meno, ma il mio stesso venir meno, turpe nell'anima e staccandomi dal tuo sostegno per cadere nella perdizione, aspirando non a qualche cosa per vergogna, ma alla vergogna stessa. [...]

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