Augusto punisce un amico iracondo (Versione latino Seneca)

Augusto punisce un amico iracondo
Autore: Seneca Traditio n. 354 pag. 362

Castigare uero irascentem et ultro obirasci incitare est: uarie adgredieris blandeque, nisi forte tanta persona eris ut possis iram...

Ma rimproverare un adirato e prenderlo irosamente di petto, vuol dire esasperarlo; lo avvicinerai in vari modi e con dolcezza, a meno che tu non sia uomo di tal prestigio, da poter anche spezzare la collera, come fece il divino.

Augusto, un giorno che cenava in casa di Vedio Pollione. Uno degli schiavi aveva rotto una coppa di cristallo: Vedio lo fece prendere, per mandarlo ad una morte non comune: l’ordine era di buttarlo alle grosse murene che teneva nella peschiera. Chi non avrebbe pensato che lo faceva per eccentricità?

No, era crudeltà. Lo schiavo sfuggì a chi lo teneva e si rifugiò ai piedi dell’imperatore, per non chiedere altro che di morire diversamente, di non esser divorato. L’imperatore rimase colpito da quella crudeltà inedita ed ordinò che lo schiavo fosse rilasciato, che tutta la cristalleria fosse spezzata in sua presenza e se ne riempisse la peschiera. L’imperatore doveva punire in tal modo un suo amico, ed usò bene il suo potere.

"Fai trascinare un uomo fuori da un banchetto, per straziarlo con un supplizio di nuovo genere? Perché si è rotto il tuo calice, debbono essere sbranate le viscere di un uomo? Sei tanto compiaciuto di te stesso da pronunciare una condanna a morte, là dove è presente l’imperatore".

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