Dai filosofi bisogna andare per apprendere non per diletto (Versione Seneca)

Dai filosofi bisogna andare per apprendere non per diletto
Autore: Seneca

Quid ergo? non novimus quosdam qui multis apud philosophum annis persederint et ne colorem quidem duxerint?

' Quidni noverim? Pertinacissimos quidem et adsiduos, quos ego non discipulos philosophorum sed inquilinos voco. Quidam veniunt ut audiant, non ut discant, sicut in theatrum voluptatis causa ad delectandas aures oratione vel voce vel fabulis ducimur. Magnam hanc auditorum partem videbis cui philosophi schola deversorium otii sit. Non id agunt ut aliqua illo vitia deponant, ut aliquam legem vitae accipiant qua mores suos exigant, sed ut oblectamento aurium perfruantur. Aliqui tamen et cum pugillaribus veniunt, non ut res excipiant, sed ut verba, quae tam sine profectu alieno dicant quam sine suo audiunt. Quidam ad magnificas voces excitantur et transeunt in adfectum dicentium alacres vultu et animo, nec aliter concitantur quam solent Phrygii tibicinis sono semiviri et ex imperio furentes. Rapit illos instigatque rerum pulchritudo, non verborum inanium sonitus. Si quid acriter contra mortem dictum est, si quid contra fortunam contumaciter, iuvat protinus quae audias facere. Adficiuntur illis et sunt quales iubentur, si illa animo forma permaneat, si non impetum insignem protinus populus, honesti dissuasor, excipiat: pauci illam quam conceperant mentem domum perferre potuerunt. Facile est auditorem concitare ad cupidinem recti; omnibus enim natura fundamenta dedit semenque virtutum.

Omnes ad omnia ista nati sumus: cum inritator accessit, tunc illa animi bona veluti sopita excitantur. Non vides quemadmodum theatra consonent quotiens aliqua dicta sunt quae publice adgnoscimus et consensu vera esse testamur
E come? Non conosciamo certe persone che hanno frequentato per anni un filosofo senza riportarne nemmeno un'infarinatura?" E come non conoscerli? Tenacissimi e assidui, per me sono inquilini, non allievi dei filosofi. Certi vengono per ascoltare, non per imparare, come si va a teatro per il piacere di farsi accarezzare le orecchie da un bel discorso o una bella voce o un bel lavoro. Per gran parte dei frequentatori, lo vedrai, la scuola di un filosofo è un luogo dove passare il tempo libero. Non cercano di liberarsi di qualche vizio, di apprendere una legge di vita per regolare il proprio comportamento, ma di godere dei piaceri dell'udito. Certi portano anche un taccuino per segnarvi non concetti, ma parole che ripeteranno senza profitto per gli altri come le ascoltano senza profitto per sé. Alcuni poi si infiammano nell'udire splendidi discorsi e con volto e animo commosso si immedesimano in chi parla e si eccitano come fanno gli eunuchi al suono del flauto frigio invasati da quel segnale.

Li trascina e li stimola la bellezza dei concetti, non il vano suono delle parole. Se qualcuno parla con coraggio contro la morte, o con sprezzo contro la fortuna, vogliono sùbito mettere in pratica le parole ascoltate. Rimangono impressionati da quei discorsi e si comportano come è stato loro comandato, se rimangono nella medesima disposizione di spirito, se la folla che scoraggia sempre i sentimenti onesti, non infrange sùbito il loro nobile slancio: pochi riescono a ritornare a casa con i primitivi propositi. È facile spingere chi ascolta a desiderare il bene: in ogni uomo la natura ha gettato le fondamenta e il seme delle virtù. Siamo nati tutti per compiere il bene: se c'è uno che ci stimola, quei nobili istinti come sopiti, si risvegliano. Non senti in teatro l'eco degli applausi quando risuonano quelle frasi che tutti riconosciamo, che all'unanimità proclamiamo vere?

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