Vitellio (Versione latino Svetonio)

Vitellio
Autore: Svetonio

Castra vero ingressus nihil cuiquam poscenti negavit atque etiam ultro ignominiosis notas, reis sordes, damnatis supplicia dempsit.

Quare vixdum mense transacto, neque die neque temporis ratione habita, ac viam vespere, subito a militibus e cubiculo raptus, ita ut erat, in veste domestica, imperator est consalutatus circumlatusque per celeberrimos vicos, strictum Divi Iuli gladium tenens, detractum delubro Martis atque in prima gratulatione porrectum sibi a quodam; nec ante in praetorium rediit quam flagrante triclinio ex conceptu camini, cum quidem consternatis et quasi omine adverso anxiis omnibus, "Bono, " inquit, "animo estote! nobis adluxit, " nullo sermone alio apud milites usus. Consentiente deinde etiam superioris provinciae exercitu, qui prius a Galba ad senatum defecerat, cognomen Germanici delatum ab universis cupide recepit, Augusti distulit, Caesaris in perpetuum recusavit.


Una volta entrato nell'accampamento accordò tutto quello che ognuno gli domandava e di sua iniziativa soppresse le note di demerito ai soldati degradati, gli abiti dimessi per gli accusati e i supplizi per i condannati. Per questo era appena passato un mese che, senza tener conto né del giorno, né dell'ora, ed era già sera, i soldati tutto ad un tratto lo portarono fuori dalla sua camera, così come stava, in veste da casa, poi lo salutarono imperatore e, sulle loro spalle lo condussero per le vie più frequentate, mentre lui teneva in mano la spada del divino Giulio che era stata tolta da un santuario di Marte e che un soldato gli aveva teso al momento delle prime felicitazioni. Ritornò al suo pretorio solo quando la sala da pranzo bruciò per il fuoco del camino e poiché alcuni si mostravano costernati e tormentati per questo presagio che consideravano funesto, egli disse: «Abbiate fiducia!

È un fuoco di gioia per noi, » e non fece altri discorsi ai soldati. In seguito, quando fu riconosciuto anche dall'armata della provincia superiore, che per prima si era staccata da Galba ed era passata dalla parte del Senato, accettò con entusiasmo il soprannome di Germanico che tutti gli offrivano, ma rimandò l'accettazione di quello di Augusto e rifiutò per sempre quello di Cesare.

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