la morte di Pan - sul tramonto degli oracoli 16 e 17 - versione greco Plutarco

LA MORTE DI PAN
VERSIONE DI GRECO di Plutarco
Dal libro sul tramonto degli oracoli 16 e 17

Ταῦτα τοῦ Κλεομβρότου διελθόντος ὁ Ἡρακλέων 'οὐδεὶς μέν' ἔφη 'τῶν βεβήλων καὶ ἀμυήτων καὶ περὶ θεῶν δόξας ἀσυγκράτους ἡμῖν ἐχόντων...

TRADUZIONE

Mentre Cleombroto esponeva tale opinione, intervenne Eracleone "È vero che qui non c’è alcuno che sia profano e non iniziato ed abbia sugli dèi opinioni discordi dalle nostre; tuttavia guardiamoci anche per noi stessi, o Filippo, dal presentare, senza accorgercene, ipotesi strane e complesse.

«Dici bene — convenne Filippo — ma che cosa ti sconcerta tanto nelle opinioni di Cleombroto?". "Ecco: — rispose Eracleone — che presiedano agli oracoli non già degli dèi, cui si conviene in realtà avere distacco da cose terrestri, ma i demoni, ministri degli dèi, non è questo che mi scandalizza; ma imputare a tali demoni— cogliendo quasi di furto i versi di Empedocle — le colpe i crimini e i vagabondaggi per volere divino, e finalmente ammettere che essi muoiono della stessa morte degli uomini, tutto questo per me, sa di temerarietà e di barbarie". A questo punto Cleombroto domandò a Filippo chi fosse e da dove venisse il giovane; e, saputo il nome e la città, rispose: "Neppure a noi sfugge, o Eracleone, l’importanza del vostro inconsueto discorso eppure, in questioni gravi, non è possibile rinunciare a principi ugualmente gravi per procedere, ragionando, al fine più attendibile. Tu, del resto, non puoi nasconderti che dài e togli al tempo stesso. Mi spiego: tu da un lato, ammetti che esistano i dèmoni; ma pretendendo che essi non siano né imperfetti né mortali tu li annulli senz’altro: perché in che cosa differirebbero essi dagli dei se possedessero per essenza l’immortalità, e per virtù l’impassibilità e l’impeccabilità?". In silenzio, Eracleone rifletteva tra sè e se alle cose dette, allorchè Filippo intervenne:

"In verità, quanto a demoni inferiori, o Eracleone, non fu solo Empedocle ad ammetterli, sì anche Platone, Senocrate e Crisippo e, inoltre, Democrito, allorché si augurava di incontrare solo ‘idoli di buona sorte ’: espressione questa, che rendeva chiaro come egli conoscesse altri demoni funesti, malintenzionati, malnati. "Sulla morte dei demoni ho udito un racconto da uno che non era né uno sciocco né un ciarlatano. Epiterse, padre del retore Emiliano – le cui lezioni taluni di voi hanno udito- è mio concittadini e maestro di grammatica. Ecco quanto mi raccontò: "navigava egli una volta verso l’Italia su un naviglio che trasportava mercanzie e una folla di passeggeri. A sera già vicino alle isole Echinadi il vento arrivò all’improvviso e la nave fu portata dai flutti nelle vicinanze di Paxo. La maggior parte erano svegli; e molti continuavano a bere dopo aver pranzato. All’improvviso dall’isola di Paxo fu udita una voce o meglio un grido, che chiamava Tamo. Erano tutti stupiti. Tamo era il nostro pilota egizio e molti a bordo non ne sapevano neppure il nome. Per ben due volte chiamato, egli tacque; poi alla terza volta rispose a colui che lo chiamava. E questi con tono ancora più alto disse: ‘Allorchè giungi nei pressi di Palode, annuncia che Pan, i grande è morto ’. A tali parole, continuava Epiterse, furono tutti atterriti. E si consultavano a vicenda: se fosse meglio eseguire il mandato oppure non impicciarsi e lasciare andare.

Tamo prese la decisione seguente: se ci fosse stato forte vento, sarebbe passato lungo la riva in silenzio; se invece il vento cadesse e la calma regnasse nei dintorni, avrebbe riferito quanto aveva udito. Appena dunque si giunse presso Palode regnò una gran pace e di venti e di flutti; Tamo, da poppa, con lo sguardo volto alla riva esclamò come aveva udito: ‘Pan, il grande, è morto!’. Egli non aveva neppure chiusi bocca, che un immenso gemito, non di uno, ma di tanti, si levò misto a grida di stupore. Ben presto la fama del fatto, per la presenza di tanti testimoni si sparse per Roma e Tamo fu fatto chiamare da Tiberio Cesare, il quale prestò tanta fede al racconto da investigare e far ricerche su Pan. I filologi della corte, che non erano pochi, congetturarono che si trattasse di Hermes e di Penelope". Ora, Filippo trovò tra i presenti alcuni, i quali attestarono di aver udito il racconto del vecchio Emiliano.

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